Secondo il report dell’ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica) nell’ultimo anno (2021) i casi di disturbi alimentari sono aumentati in media del 30% rispetto al biennio 2019-2020, con un notevole abbassamento della fascia di età di esordio (13-16 anni) e un incremento delle diagnosi soprattutto di anoressia nervosa.
Tanti nuovi casi, ma anche numerose ricadute.
Complici di questo drammatico quadro sono stati gli effetti sociali e comportamentali imposti dalla pandemia (il distanziamento, l'isolamento, la limitata possibilità di fare attività fisica, la pressione mediatica sull’aumento di peso, il rimuginio costante di fronte alla dispensa traboccante di scorte alimentari). Ma non solo: la situazione è stata complicata anche dal ridotto accesso alle cure, con centri chiusi, riduzione delle disponibilità e della possibilità di seguire i pazienti in presenza.
All’emergenza Covid-19, che sta continuando a coinvolgere globalmente tutti noi, qualcuno (insomma, più di 3 milioni di persone solo in Italia) somma un peso non indifferente portato dal disagio psicologico di avere un corpo, irrimediabilmente ingombrante. Ecco che risulta fondamentale continuare a promuovere, sensibilizzare e battersi pubblicamente per un cambiamento concreto nei confronti della presa in carico e del trattamento di questi disturbi.
Il miglior modo per combattere lo stigma è attraverso la verità
Queste nove verità sono la nuova impalcatura su cui costruire gli sforzi per la difesa dei disordini alimentari. Uniti intorno a questi principi, possiamo illuminare la comprensione pubblica sui disturbi alimentari e sostenere in modo efficace l’accesso al trattamento e le risorse” – Dr C. Bulik
La dott.ssa Cynthia Bulik è professoressa e ricercatrice nell’ambito dei disturbi alimentari, direttrice e fondatrice dell’UNC Center of Excellence for Eating Disorders.
1) Non è possibile riconoscere una persona che soffre di un disturbo alimentare semplicemente dall'aspetto fisico.
Molte persone che soffrono di un disturbo alimentare, infatti, sembrano assolutamente "sane" all'apparenza. Nell’immaginario collettivo, infatti, la persona che ne soffre appare sempre molto emaciata, con evidenti segni di malnutrizione per difetto.
La realtà è che i disturbi alimentari possono presentarsi in modo molto vario e non è così ovvio capire se un individuo è malato. Questo è uno dei motivi che può portare a una diagnosi ritardata; tale ritardo può avere una serie di ripercussioni sulla storia naturale del disturbo, perché più precocemente si inizia un trattamento, maggiori sono le possibilità di successo. Senti la necessità di un supporto?
Non aver paura di chiedere aiuto: clicca qui.
2) La colpa non è della famiglia; al contrario, può rappresentare un buon alleato durante il percorso terapeutico, sia per il* paziente che per gli operatori sanitari.
Gli studi più recenti confermano una certa influenza della famiglia rispetto alle abitudini alimentari e all’insoddisfazione corporea, ma il ruolo delle relazioni familiari è posto al pari di altri fattori quali l’età, i mezzi di comunicazione di massa e le influenze transculturali. A tal proposito, l’Academy of Eating Disorders afferma di essere contro ogni modello eziologico in cui la famiglia è vista come la causa primaria della malattia.
Capire come si sviluppano i DCA è molto difficile: sono disturbi a genesi multi-fattoriale, in cui agiscono fattori biologici, psicologici, culturali, genetici e ambientali.
Caos e sofferenza giungono all’improvviso e fanno crollare interi sistemi familiari: tante domande con risposte poco definite: perché mi* figli*? Dove ho sbagliato? Non importa e non è necessario cercare un perché, non è importante capire di chi sia la colpa: piuttosto, è importante chiedersi quale sia la cosa migliore da fare.
L’atteggiamento più efficace è ascoltare, essere equilibrati, comprensivi e rispettosi nei confronti delle difficoltà e delle paure, senza far ruotare tutta la vita familiare attorno alla persona con il disturbo. Mai mettere in discussione la necessità di un trattamento appropriato. Insieme, è possibile chiedere aiuto, intraprendere un percorso che porti a liberarsi dal dolore e dalla sofferenza.
Per affrontare il cambiamento, il soggetto deve essere consapevole del problema e convinto di avere/potere utilizzare le proprie risorse interne per guarire.
L’assenza di consapevolezza e motivazione, oltre a ostacolare la guarigione, portano il soggetto ad abbandonare più facilmente i trattamenti.
Caro genitore, ricorda che sei umano, che non puoi leggere nella mente di tu* figli*, che sei fallibile, come tutti. Niente è perduto: stringi la sua mano e supportalo ogni giorno nella lotta contro la sua malattia.
3) La diagnosi di un disturbo alimentare è un momento di forte crisi che sconvolge l’equilibrio personale e familiare.
Secondo la dott.ssa Bulik, la maggior parte delle volte la colpa per l’insorgenza di un disturbo alimentare viene attribuita alle madri. In realtà, come abbiamo già sottolineato, pensare che questi problemi siano causati solamente da dinamiche familiari disfunzionali è estremamente riduttivo.
Tutto quello che succede al* figli* non dipende solo dalla madre: se è vero che i primi momenti di condivisione emotiva dell’alimentazione sono generalmente legati alla figura materna (allattamento), è importante sottolineare che anche quella paterna è importante per la crescita fisica e psicologica del* figli*.
Quando una persona cara soffre di un DCA è normale sentirsi confusi e disorientati; se si tratta del* propri* figli* le preoccupazioni e le angosce possono facilmente pervadere l’atmosfera familiare e i sentimenti di paura, rabbia, solitudine e senso di colpa inizieranno a dominare. È facile che il genitore venga invaso da queste spiacevoli emozioni e non si senta in grado di aiutare il* figli*: è importante capire che invece non si è soli, che si può trovare un valido aiuto medico e/o psicologico.
La diagnosi è il primo passo del percorso di cura e di rinascita della persona.
La strada per la guarigione è un percorso lungo fatto di sfide, salite e ostacoli, talvolta apparentemente insormontabili. Per questo motivo il supporto familiare è un tassello fondamentale per guarire da una patologia così complessa.
Davanti a un* figli* che manifesta comportamenti problematici rispetto al cibo è più importante creare un clima sereno e accogliente, piuttosto che insistere o forzare.
Il disturbo alimentare non deve essere inteso come un semplice rifiuto di alimentarsi, ma una modalità disperata, disfunzionale, di comunicare un disagio più profondo che non trova altra espressione.
Spesso iniziare un nuovo cammino spaventa, ma dopo ogni passo percorso
puoi renderti conto di quanto fosse pericoloso rimanere immobile.
4) Un disturbo alimentare non è una scelta, ma una grave malattia con base biologica.
Quando una persona si ammala generalmente si parla di sfortuna, ereditarietà o predisposizione familiare; quando la patologia in questione è un disturbo mentale, tra cui sono riconosciuti anche i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, c’è un forte pregiudizio che porta a pensare a un capriccio, una moda, una malattia di scelta o di vanità. La realtà è che un disturbo alimentare scende molto più in profondità e ti scava dentro, facendoti perdere il sorriso, la voglia di parlare, di ridere e di vivere.
Ti riduce a una sopravvivenza forzata, scandita dalla ripetizione opprimente di schemi e pensieri disfunzionali, di pasti forzati, di una sofferenza che tenti di smorzare accennando un sorriso per dimostrare che sta andando tutto bene.
Il disturbo modifica biologicamente il funzionamento psicologico dell’individuo: soffrirne sconvolge la vita, travolgendola e limitando notevolmente le capacità relazionali, lavorative e sociali. Piano piano tutto inizia a ruotare intorno al cibo; i pensieri disfunzionali legati all’alimentazione e al terrore di aumentare di peso diventano una costante, creando angoscia, tormento e oppressione.
Restrizione alimentare e/o condotte compensatorie di vario tipo portano allo sviluppo di numerose alterazioni organiche che possono coinvolgere ogni organo e apparato.
Una scelta o una moda non richiedono la necessità di adottare un approccio di cura multidisciplinare e pluri-professionale integrata: i disturbi dell’alimentazione, riconosciute dai principali manuali diagnostici come patologie complesse ad eziologia multifattoriale (= più cause) richiedono la gestione da parte di un team in grado di effettuare una valutazione diagnostica multidimensionale, che permetta di affrontare la psicopatologia specifica del disturbo e l’eventuale presenza di altre malattie o complicanze psichiatriche, internistiche e nutrizionali associate.
Evitiamo i pregiudizi!
5) I disturbi del comportamento alimentare colpiscono soggetti di qualsiasi età, etnia, genere e orientamento sessuale, corporatura, peso e status sociale.
E' vero che i disturbi alimentari sono nettamente più prevalenti nei soggetti biologicamente di sesso femminile rispetto ai soggetti di sesso maschile (rapporto 10:1), ma anche i soggetti di sesso maschile possono ammalarsi.
E' vero che la maggior parte delle diagnosi viene effettuata durante l'adolescenza, ma un disturbo alimentare può esordire o svilupparsi anche in tarda età o in età precoce. Alcune osservazioni cliniche svolte negli ultimi anni hanno evidenziato un aumento dei casi di esordio a 8-9 anni; questo aumento può essere ricondotto sia all’abbassamento dell’età puberale, sua all’anticipazione dell’età in cui i bambini sono esposti alle pressioni socio-culturali.
E’ vero che i disturbi alimentari sono maggiormente diffusi nei soggetti caucasici, in cui i livelli di insoddisfazione per il corpo e la preoccupazione per il peso risultano più elevati rispetto ad altre popolazioni mondiali (forte influenza della cultura della dieta), ma negli anni sono aumentati anche i casi in Cina e Giappone; questo a causa dell'esposizione a cambiamenti culturali e processi di globalizzazione. In ogni caso, l’influenza dell’etnia sullo sviluppo del disturbi dipende dal contesto culturale e ambientale specifico per ciascuno.
6) I disturbi del comportamento alimentare sono patologie riconosciute dal manuale statistico diagnostico dei disturbi mentali, comportano un aumentato rischio di suicidio e possono essere accompagnati da gravi complicanze mediche.
I disturbi alimentari sono malattie, alterazioni del normale funzionamento di corpo e mente che possono provocare gravi sofferenze, fino alla morte. Oltre alle complicanze organiche che possono derivare dalla restrizione alimentare e dai comportamenti di compenso purgativi (vomito autoindotto, abuso di lassativi e diuretici), a complicare il quadro si inseriscono le comorbidità psicopatologiche, come l’autolesionismo e il comportamento suicida.
⚠️
Il rischio di morte per una persona con diagnosi di anoressia nervosa è 5-10 volte maggiore di quello di soggetti sani della stessa età.
La società odierna è scissa a metà: c’è una corrente di persone (e professionisti) che continua a diffondere e alimentare il mito della magrezza = una bellezza che viene esibita, fotografata e modificata, creando uno scarto significativo fra l’aspetto fisico REALE e quello ideato. In questo contesto continuano ad aumentare l’insoddisfazione per il corpo e le pratiche dietetiche, diffondendosi a macchia d’olio.
C’è poi una corrente che invito caldamente ad abbracciare che, al contrario, cerca di sensibilizzare sull’argomento passando il messaggio che la magrezza è un mito effimero, non-salutare, controproducente. Che le diete fanno acqua da tutte le parti.
Che mangiare va oltre alle calorie e ai macro/micronutrienti. Che ci sono professionisti che possono aiutarti a ritrovare un rapporto sereno con te stess* e con il cibo.
Che la rinascita è un percorso tortuoso, ma il mondo che si aprirà davanti a te sarà magnifico, ricco di emozioni, sapori e colori che pensavi di aver dimenticato per sempre.
Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è.
7) La "colpa" non è solo della società; sia la genetica che l’ambiente svolgono un ruolo importante nello sviluppo dei disturbi del comportamento alimentare.
Possiamo tentare di spiegare l’insorgenza e il permanere dei disturbi alimentari attraverso 3 tipi di fattori di rischio, che agiscono in modo consecutivo:
FATTORI PREDISPONENTI = aumentano la vulnerabilità di un soggetto per lo sviluppo di un disturbo alimentare; i più indagati sono: genere, età, etnia, aspetti genetici e neurobiologici, tratti di personalità, aspetti socio-economici e culturali, caratteristiche familiari, problemi di alimentazione nell’infanzia.
FATTORI SCATENANTI/PRECIPITANTI = danno inizio al disturbo alimentare, intervenendo quando il soggetto si trova in determinate condizioni psicofisiche; il destino di una persona che presenta una certa vulnerabilità a un disturbo alimentare può essere diverso a seconda che incontri o meno questo tipo di fattori, es. difficoltà psicologiche, difficoltà ambientali, diete non giustificate o eccessivamente restrittive.
FATTORI DI MANTENIMENTO/CRONICIZZANTI = sono l’insieme degli elementi che protraggono e rinforzano il disturbo nel tempo; inizialmente il principale fattore perpetuante è il circolo vizioso, caratteristico della restrizione alimentare che, nell’anoressia nervosa, incrementa l’autostima per il proprio autocontrollo e diminuisce l’ansia collegata alla paura di ingrassare. Può capitare che certe idee vengano rinforzate dall’esterno: la classica situazione si ha quando qualcuno si congratula con una persona normopeso e in perfetta forma per aver intrapreso un’alimentazione ipocalorica assolutamente inadeguata. Con il tempo, compaiono i “sintomi da digiuno”, una serie di conseguenze della restrizione alimentare che colpiscono sia il piano fisico che quello psicologico. La restrizione alimentare comporta un maggior desiderio di cibo, con conseguente paura di perdere il controllo, un drastico calo dell’auto stima e la comparsa di ansia, ricerca del controllo e ulteriori restrizioni, con annientamento di tutto il resto.
8) Il patrimonio genetico di una persona non determina, da solo, lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare.
L’esistenza di un gene codificante per l’insorgenza di un DCA è ancora dubbia, tuttavia gli studi più recenti hanno mostrato due aspetti non trascurabili:
Avere un familiare di primo grado affetto da anoressia nervosa comporta un rischio di 10 volte maggiore di sviluppare la malattia.
Il gene rilevante è localizzato su un cromosoma localizzato in una regione associata anche al diabete, alle malattie autoimmuni e al metabolismo insulinico.
L’anoressia nervosa è stata recentemente definita come un disturbo metabopsichiatrico, in cui gli aspetti psicologici sono associati con la predisposizione a un certo tipo di funzionamento metabolico, orientato al consumo di più energie e all’eccesso di attività fisica. Non è ancora chiaro se certi effetti siano causati da alterazioni metaboliche o dalle conseguenze della denutrizione. Più probabilmente, sono le variazioni di numerosi geni a contribuire, in gradi differenti, ai tratti che interagiscono con i fattori ambientali aumentando o diminuendo il rischio di sviluppare un DCA. Il succo del discorso è sempre lo stesso: non c’è mai una sola causa alla base di queste condizioni, non è mai colpa di qualcuno, non si sceglie di ammalarsi … però si può scegliere di guarire. Come?
Accettando il sostegno, cercando di uscire dalla comfort-zone e andando a decostruire tutte quelle regole imposte con rigidità. Serve onestà, con se stessi e con gli altri.
Serve la voglia di guarire senza scendere a compromessi, senza rimpianti, accogliendo il cambiamento. Ricorda che sei più forte di quanto immagini!
9) Un disturbo alimentare non dura per tutta la vita. E' possibile guarire completamente; una diagnosi precoce e un intervento immediato risultano fondamentali.
Il medico di base (o il pediatra, seconda delle fasce di età) svolge un ruolo molto importante nella rete di trattamento per i disturbi alimentari, soprattutto per quanto riguarda l’identificazione precoce dei nuovi casi: una diagnosi precoce può spingere il soggetto a intraprendere un percorso di cura più rapidamente, migliorando la prognosi della malattia. Esistono alcuni segnali di allarme per identificare il rischio di insorgenza di un disturbo dell’alimentazione, rilevabili attraverso il colloquio:
grave perdita di peso
paura di ingrassare
intensa preoccupazione per il peso e/o la forma del corpo
assenza del ciclo mestruale da almeno 3 cicli consecutivi
abbuffate e/o dieta ferrea (saltare i pasti, ridurre le pozioni, divisione del cibo in “buono” e “cattivo”)
controllo del cibo ingerito e check delle forme corporee
evitare l’esposizione del corpo
cambiamento dell’umore, isolamento sociale, ansia, disturbi gastrointestinali
La priorità dei trattamenti più recenti è quella di regolarizzare il comportamento alimentare e affrontare direttamente la sintomatologia, in modo da ottenere un recupero completo anche (e soprattutto) dal punto di vista psicologico.
Il resto, arriva da sé …
Grazie per aver letto fin qui.
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