Mi chiamo Noemi e finalmente posso dirlo: sono una dietista.
Mi sono laureata il 29 marzo 2021 con il massimo dei voti e lode presso l’Università degli Studi di Firenze (purtroppo a distanza), discutendo una tesi che ho scritto a mani instabili, vacillante tra i ricordi, il dolore e la soddisfazione di poter dire che sì, sono guarita.
E’ grazie al mio disturbo alimentare che posso dire di avercela fatta: probabilmente senza quella cosa, ora, non sarei qui. Dopo un percorso tortuoso fatto d’inganni, false speranze, voci subdole e intrusive dentro alla mia testa, rinunce, abbandoni, sacrifici e perplessità, finalmente iniziavo a intravedere la luce. In realtà ci sono voluti ancora tanti mesi dopo l’ideazione di quel progetto di vita per uscirne completamente, mettere da parte le paure, resistere alla forza dei paragoni e … no, non è stato semplice.
Per quanto mi allettasse l’idea di formarmi nel campo dell'alimentazione, per prima cosa avrei dovuto completare il lavoro su me stessa, ritrovando un po’ di quiete dopo una tempestosa adolescenza.
Fino alla terza superiore non avevo minimamente capito che cosa volessi diventare da grande: nel corso degli anni mi sono balenate in testa un sacco di idee ma non avevo un cassetto dove riporre queste ricorrenti fantasticherie.
La pasticciera, la veterinaria, la giornalista, la biologa marina, la cantante, la maestra di scuola elementare, il niente assoluto.
Un giorno, nel pieno impeto del mio disturbo, pensai che, se fossi guarita, avrei potuto trasformare quell’enorme scoglio in un trampolino di lancio: è (anche) per questo che ho provato a mettercela tutta.
C’è una frase che mi ripetevo spesso, canticchiando una canzone:
Te ne sei accorto sì Che passi tutto il giorno a disegnare Quella barchetta ferma in mezzo al mare E non ti butti mai?
Come funziona la prova di ingresso?
Si tratta di un quiz composto da 60 domande che spaziano fra argomenti di logica, biologia, cultura generale, chimica, matematica e fisica. Ogni anno quella prova regola l’accesso ai corsi di laurea triennali nell’ambito delle professioni sanitarie; ogni ateneo pubblica poi una graduatoria che decreta la possibilità di immatricolarsi o meno (non c’è una graduatoria nazionale, come per medicina o veterinaria).
Quando ho provato il test avevo ancora tanta strada da percorrere, ma la salita stava iniziando a farsi meno ripida. Breve descrizione di quel 13 settembre 2017: partenza all’alba dal binario 1 della stazione di Poggibonsi – S.Gimignano con direzione Firenze SMN, in compagnia dei timidi raggi del sole che illuminavano un viso piuttosto pallido ravvivato da due macchie rosso fragola.
Alle mie spalle c'erano una vacanza meravigliosa con 7 ore di jet-lag, un concerto indimenticabile sotto la pioggia di Milano e la rottura di una relazione importante in un angolo stonacato di un'altra stazione ferroviaria.
In tutto questo, solo undici posti per quasi cinquecento pretendenti.
Ottengo un settantottesimo posto e ne concludo che la dietista l’avrei fatta in un’altra vita. Quel numero non era male, ma non abbastanza.
Non abbastanza: fin troppe volte mi sono sentita così, specialmente a causa dei numeri, e non potevo permettere che succedesse di nuovo. Questa (apparente) sconfitta è servita per rinforzarmi ancora di più, per darmi ancora un po’ di tempo.
Sapendo che non sarei entrata a dietistica, mi immatricolai al corso di scienze biologiche, presso l’Università di Siena. Le lezioni in quella nuova facoltà iniziarono il 3 ottobre; me lo ricordo perché era il compleanno di mia mamma e stavo vivendo un periodo di forti cambiamenti, in cui iniziavo ad assaporare di nuovo la vita briciola dopo briciola.
Il mio cuore era comunque rimasto orientato verso quella prima scelta che, ormai, sentivo sempre più lontana e inaccessibile. Continuavo a controllare gli scorrimenti della graduatoria con impazienza, senza perdere la speranza di veder scritto “VINCITORE” accanto al mio nome. Tra le varie promesse che avevo deciso di stringere con me stessa, avevo dichiarato di non volermi più raccontare bugie: volevo chiudere con le sensazioni di essere sbagliata, fuori luogo, indegna e senza utilità, fin troppo familiari.
Così ho iniziato a chiedermi che cosa volessi davvero, in quel momento. Quella nuova scelta universitaria non mi piaceva e il mio organismo stava provando a comunicarmelo con le poche forze che aveva recuperato: attacchi di panico, paralisi notturne, irragionevole nervosismo, giornate intere trascorse sulle pagine dei libri di citologia senza capire minimamente il senso delle frasi. Che senso aveva?
Mi sono guardata dentro e ho provato a superare gli ostacoli (mentali) che mi frenavano dal mettere un punto a questo breve capitolo di vita. Volevo studiare o prendermi un periodo di tempo per staccare e ritrovarmi completamente?
La scuola non me lo avrebbe permesso, soprattutto un corso di studi che non riuscivo a farmi piacere; mi sentivo in dovere di studiare, perché una come me non poteva permettersi di lasciare gli studi. Chi lo diceva? Lo dicevo io, condizionata dal mondo intero. Ci tengo a precisare che i miei genitori mi hanno sempre appoggiata qualsiasi scelta decidessi di prendere, senza giudizi né critiche nei miei confronti: volevano solo che stessi bene. Se continuavo a studiare in quella facoltà era solo per sentirmi a posto con me stessa, in sintonia con la mente contorta mai soddisfatta che mi ritrovo e in continua ricerca di qualcosa in più, della cosiddetta perfezione.
Ho fatto un respiro profondo e mi sono lasciata alle spalle la paura di essere giudicata, cercando di ignorare quelle critiche (a fin di bene, ma dolorose) di chi mi diceva che in fondo avrei dovuto stringere i denti. D’altra parte, com’è possibile che Noemi, sempre così brava, ragazza precisa e diligente, avesse lasciato gli studi? La verità è che sono sempre stati gli altri a dipingermi con questi colori, tenendo in mano una tavolozza monocromatica. Studiare non mi è mai piaciuto così tanto, nonostante i bei voti e i risultati eccellenti che ho sempre portato a casa: un 10 (e lode) all’esame di terza media, un 100 alla maturità, ma in fondo niente mi è mai interessato nel profondo e, infatti, non ho mai trovato una materia preferita.
Nella scuola così come nella vita, ero (e sono) instabile.
Un giorno amavo la letteratura, il giorno dopo mi facevo piacere di più la matematica, quello dopo ancora le lingue straniere. E così via.
Insomma, ho trovato il coraggio di dire BASTA e sistemare le cose a modo mio.
Quando ho firmato il foglio per la rinuncia agli studi mi sono giurata che non sarei rimasta con le mani in mano; se non avessi studiato, allora avrei lavorato e mi sarei fatta nuove esperienze - e così è stato. Quando non stavo al ristorante, ero in pista.
Facevo la cameriera, allenavo e mi allenavo, anche se meno frequentemente rispetto agli standard portati avanti per anni. In ogni caso, avevo i pattini ai piedi e da novembre a marzo (2017-2018) trascorsi un periodo piuttosto spensierato.
L’impressione di non fare ancora abbastanza era persistente, eppure non stavo un attimo ferma: tornavo a casa solo la notte, dopo aver chiuso il locale.
Il sabato sera, insieme ai miei colleghi, andavo a concludere le serate nel pub del paese, dove ho gustato di nuovo alcuni dei sapori che avevo dimenticato a causa del disturbo, sia dal punto di vista alimentare ma anche (e soprattutto) dal punto di vista delle relazioni sociali e interpersonali. Ridere, scherzare e stare in compagnia non era mai stato più semplice e naturale di così e no, l’alcol non c’entrava niente in questo tipo di disinvoltura. Iniziavo a sentirmi a mio agio nel mondo.
Ero felice e sono felice anche adesso se ripenso a quel periodo: penso sia questa la cosa più importante. Temevo che il mio piccolo quadro di felicità potesse essere compromesso una volta ripresi in mano i libri per studiare ma, nonostante questo timore, trovai un cassetto speciale dove riporre la facoltà di dietistica, con la speranza di poterla inserire nella mia quotidianità, un giorno.
Quel giorno arrivò presto, prima del previsto.
Nella prima settimana di marzo 2018 ricevetti una mail dall’Università degli Studi di Firenze, quella che avevo sognato giorno e notte fino a pochi mesi prima.
Le comunichiamo che può immatricolarsi al corso di studio in DIETISTICA
Lacrime di gioia, stupore, paura. Aprire quel cassetto avrebbe implicato delle scelte pesanti, un nuovo cambio di prospettiva per tornare al piano A, che pensavo fosse fallito. Dovevo decidere in fretta e mi sentivo come se di punto in bianco tutto quello che avevo appena costruito fosse sul punto di crollare, di nuovo.
Questo crollo, però, ha lasciato spazio ad altre meravigliose opportunità, alla possibilità di realizzare quello che, in un certo senso, era proprio il mio sogno nel cassetto.
Mai come in quel periodo avevo provato il desiderio di orientare il mio futuro nel campo dell’alimentazione, per approfondire le mie conoscenze e acquisire gli strumenti necessari per aiutare chi stava attraversando quelle mie stesse difficoltà.
Provare sulla propria pelle un’esperienza negativa può contribuire notevolmente allo sviluppo di una forte consapevolezza e una sensibilità diversa nei confronti degli altri.
A volte penso che forse era destino che andasse così. Era destino che continuassi a pattinare ancora per un po’, che iniziassi ad allenare e incrementassi gli orari di lavoro.
Era destino che andasse così perché forse non ero ancora pronta.
Il 15 marzo 2018, VII giornata nazionale del Fiocchetto Lilla, ho finalmente aperto quel cassetto e ho iniziato a vivere il mio sogno: ero ufficialmente immatricolata al Corso di Laurea in Dietistica. In quello stesso giorno, dopo quasi due anni di assenza, mi è tornato anche il ciclo: il segno di una vita nuova che stava per iniziare.
Un disturbo alimentare continuerà a pesare, forse per sempre. La guarigione è un processo in divenire che non smette mai di arricchirsi grazie a nuove esperienze e alla capacità di mettersi in gioco, rischiare, buttarsi consapevolmente all’interno delle circostanze. E’ necessario continuare a nutrire il filtro contro i pensieri negativi e riconoscere che esisteranno ancora, coinvolgendo vari ambiti di vita: questo è assolutamente okay ed è importante acquisirne, gradualmente, consapevolezza.
Mi chiamo Noemi e finalmente posso dirlo: sono una dietista.
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